Un primo modo per capire cos'è la comunicazione è quello di osservare una situazione comunicativa comune. Immaginiamo dunque questa situazione: una persona parla con un’altra. Possono essere due amiche, due fidanzati, o una madre che parla alla figlia, o il dirigente che parla ad un impiegato. Il rapporto che c’è tra le persone che parlano è fondamentale, come presto vedremo. Ammettiamo, per ora, che le due persone che parlano siano due amici. Essi comunicano verbalmente, prendendo la parola a turno. La persona che parla ha una intonazione della voce che varia in base a quello che dice: può parlare a voce bassissima se sta riferendo un pettegolezzo o arrivare a gridare se sta raccontando un episodio che l’ha indignata. Anche la sua postura può variare. Può essere immobile, o agitarsi e gesticolare in modo più o meno teatrale. Questo dipende da diversi fattori: la personalità di chi parla, il contenuto della comunicazione (se si tratta di qualcosa di emotivamente coinvolgente, è più facile che si gesticoli) o dalla reazione dell’interlocutore. Quest’ultimo, infatti, può reagire in diversi modi. Può ascoltare in modo attento o distratto, può intervenire interrompendo l’altro, può manifestare noia ed impazienza attraverso i gesti e la postura del proprio corpo, ad esempio guardando spesso l’orologio o agitando una gamba.
Nella situazione che abbiamo immaginato, vi sono dunque le seguenti cose: 1) un persona che parla, 2) ciò che dice attraverso le parole la persona che parla, 3) ciò che dice attraverso i gesti la persona che parla, 4) una persona che ascolta, 5) ciò che dice attraverso i gesti la persona che ascolta. Possiamo dare un nome a ciascuno di questi punti, seguendo l’analisi fatta dal linguista di origine russa Roman Jakobson nei suoi Saggi di linguistica generale. La persona che parla si chiama emittente, chi ascolta si chiama destinatario, ciò che l’emittente dice attraverso le parole è il messaggio verbale, ciò che l’emittente e il destinatario si dicono attraverso i gesti e le posizioni del corpo è il messaggio non verbale.
Se consideriamo la situazione con più attenzione, emergono altri aspetti. Il messaggio inviato dal mittente al destinatario dev’essere compreso da quest’ultimo. La persona che ascolta compie un lavoro di interpretazione del messaggio ricevuto, cerca di capire il significato delle parole, non solo in generale, ma anche all’interno del loro contesto; analizza e valuta i gesti, dandone una interpretazione in rapporto al messaggio verbale (e, viceversa, interpreta il messaggio verbale anche in base ai gesti e alle posture); cerca di dedurre il significato di eventuali parole non ben comprese o sconosciute o prende atto di non aver compreso il messaggio, chiedendo ulteriori informazioni. Tutto questo lavoro si chiama decodifica. La situazione del destinatario non è diversa da chi si trova a decifrare un messaggio in codice. Ogni messaggio, infatti, utilizza un codice, vale a dire un sistema di segni cui è stato attribuito un particolare significato. Se il destinatario deve operare una decodifica del messaggio, l’emittente può comunicare solo attuando una codifica del suo messaggio, scegliendo cioè con quale codice esprimersi e traducendo il suo messaggio nei segni di quel codice. L’emittente può scegliere di esprimersi in un codice linguistico, gestuale, artistico, rituale eccetera, a condizione però che esso sia condiviso dal destinatario. È necessario, insomma, che i due interlocutori parlino la stessa lingua e condividano una cornice di significati. Ciò non è sempre garantito dall’uso di una stessa lingua nazionale, perché esistono anche i codici settoriali che, benché formalmente rispettosi delle caratteristiche della lingua nazionale, di fatto ritagliano un settore più ristretto di significati, non intelligibili a chi non abbia una formazione culturale in quel settore specifico.
Ogni comunicazione, inoltre, avviene attraverso un canale particolare. La conversazione può avvenire faccia a faccia, o telefonicamente, per lettera, via Internet. Ognuno di questi canali è esposto a rischi di ricezione imperfetta del messaggio, a causa di eventi disturbanti. Può succedere che io non senta bene cosa mi sta dicendo la persona all’altro capo del telefono perché c’è un’interferenza, o che non riesca a sentire bene nella confusione di una discoteca o per il traffico stradale, o che abbia difficoltà a decifrare la scrittura di chi mi ha mandato una lettera. Tutto ciò è il rumore.
Possiamo definire la comunicazione come il passaggio di un messaggio codificato dall’emittente al destinatario attraverso un canale, in un contesto preciso, e con la presenza di qualche forma di rumore.
Questo modello formale indica le caratteristiche generali di una comunicazione, ma non dà conto della differenza, spesso enorme, tra le varie situazioni comunicative concrete. Noi possiamo rivolgere un messaggio ad un destinatario con finalità molto varie: possiamo chiedere qualcosa, fare un rimprovero, domandare scusa, descrivere qualcosa. La teoria di Jakobson si completa con la precisazione delle differenti funzioni del linguaggio. Il linguista ne individua sei: funzione emotiva, persuasiva, referenziale, fà tica, metalinguistica e poetica. La funzione emotiva è centrata sul mittente, di cui esprime le emozioni e sensazioni, quella persuasiva è orientata verso il destinatario, che si cerca di convincere a fare o approvare qualcosa, quella referenziale dà informazioni su un fatto, un oggetto, una situazione, quella fà tica ha la funzione di stabilire e mantenere il contatto comunicativo, rimediando anche alle distorsioni dovute al rumore ("Mi stai ascoltando?", "Hai capito quello che ho detto?"), la funzione metalinguistica ha come oggetto lo stesso codice, di cui dà chiarimenti ("velocemente è un avverbio", "Weltanschauung vuol dire visione del mondo"), quella poetica, infine, pone in risalto il messaggio in se stesso.
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