Consideriamo ora una situazione comunicativa piuttosto lontana da quella, molto quotidiana, che abbiamo immaginato nel paragrafo precedente.
Nei tempi antichi, durante una riunione sulla Montagna Spirituale, il Buddha raccolse un fiore e lo mostrò alla folla. Rimasero tutti in silenzio, tranno il santo Kashyapa, che sorrise. Il Buddha disse: ‘Ho il tesoro dell’occhio della verità , l’ineffabile mente del nirvana, il più sottile degli insegnamenti sull’assenza di forma della forma della realtà . Non può essere espresso dalle parole, ma viene trasmesso in modo speciale al di fuori della dottrina. Io lo affido a Kashyapa l’anziano. [Wumenguan, 6, a cura di Th.Cleary, Mondadori, Milano 2002, p. 55]
Qui è il Buddha, una personalità eccezionale, che trasmette ai suoi discepoli il punto fondamentale del suo insegnamento: quello che riguarda la liberazione dell’uomo dalla sofferenza della vita (nirvana). Questa comunicazione avviene, viene detto, in modo speciale, mostrando semplicemente un fiore. Senza nemmeno una parola.
In altre circostanze, il Buddha rispondeva con il silenzio alle domande che riteneva inopportune. Si chiama nobile silenzio, ed è anch’esso pieno di significati. Restando in silenzio quando gli si rivolgevano domande
riguardanti questioni metafisiche, insegnava che i problemi di cui bisogna preoccuparsi sono solo quelli che riguardano la nostra situazione esistenziale, mentre tutte le altre sono inutili e dannose.
Abbiamo visto nel paragrafo precedente che la comunicazione può anche essere non verbale. L’esempio del Buddha ci fa comprendere ora che questa comunicazione non verbale non è necessariamente di supporto a quella verbale (come i gesti che accompagnano le nostre parole), ma può comunicare autonomamente; può, anzi, comunicare cose che le parole non riuscirebbero a comunicare. Non solo. Lo stesso silenzio può comunicare.
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