La descrizione di una giornata scolastica a Jasnaja Poljana può colpire negativamente il lettore abituato a considerare l’ordine, la disciplina, il silenzio come qualità positive di una scuola. Ad esse Tolstoj preferisce la spontaneità, l’interesse e la creatività. 

Mettiamo il caso che, secondo l’orario, nella prima classe, quella inferiore, vi sia lettura strumentale, nella seconda lettura graduale, nella terza matematica. Il maestro arriva nella stanza e sul pavimento sono sdraiati dei bambini che piagnucolano, gridando: — Tutti addosso! — oppure: — Sotto, ragazzi! — oppure: — Basta, lasciatemi la testa! — ecc. — Pètr Michajlovic! — grida al maestro che sta entrando una voce in fondo al mucchio: — Di’ loro di lasciarmi! — Buongiorno Pètr Michajlovic! — gridano gli altri, continuando il loro chiasso. Il maestro prende i libri, li distribuisce agli allievi che si sono diretti con lui verso l’armadio; dal mucchio di ragazzi sul pavimento quelli che stanno sopra, restando sdraiati, chiedono il libro. Il mucchio a poco a poco diminuisce. Appena la maggior parte ha preso i libri, tutti gli altri già corrono all’armadio e gridano: — A me, anche a me! Dammi il libro di ieri e a me quello kolcoviano! — ecc. Se per caso ne restano ancora due, eccitati dalla lotta, che continuano ad agitarsi sul pavimento, allora quelli che siedono con i libri davanti gridano loro: — Cosa fate lì? Non si sente niente. Basta! — Gli infervorati si calmano e, trafelati, prendono i libri e soltanto in un primo momento, seduti col libro davanti e non ancora calmatisi, muovono le gambe per l’agitazione. Lo spirito della lotta vola via e lo spirito della lettura si diffonde nell’aula. 
Con lo stesso ardore con cui aveva afferrato a Mitka la testa, l’allievo ora legge il libro kolcoviano (così è chiamata da noi un’opera di Kolcov), quasi stringendo i denti, con gli occhi che gli brillano, senza vedere intorno a sé nient’altro che il proprio libro. Per distoglierlo dalla lettura sarebbero necessari altrettanti sforzi che per distoglierlo prima dalla lotta. Gli allievi si siedono dove vogliono: sulle panche, sui tavoli, sul davanzale, sul pavimento e in poltrona. Le ragazze si siedono sempre insieme. Gli amici provenienti dallo stesso villaggio, di solito piccoli (fra loro c’è più spirito di gruppo), siedono sempre vicini. Non appena uno di loro decide di sedersi in quell’angolo, tutti i compagni, spingendosi e buttandosi sotto le panche, raggiungono lo stesso posto, si siedono di fianco a lui e, guardandosi intorno, mostrano nel viso una tale aria di felicità e soddisfazione, come se fossero destinati con certezza a essere felici per tutto il resto della loro vita, essendo riusciti a conquistare quei posti. Una grossa poltrona, chissà come capitata nell’aula, rappresenta oggetto di invidia per le personalità più autonome, come la bambina della casa e altri. Non appena a uno viene in mente di sedersi in poltrona, l’altro dallo sguardo riconosce la sua intenzione ed essi si scontrano, si bloccano, uno spinge l’altro e quello che ha spinto di più si sdraia con la testa molto più in basso dello schienale, ma legge, come tutti gli altri, tutto immerso nella sua occupazione. 
Durante la scuola non ho mai visto gli allievi bisbigliare tra loro, darsi i pizzicotti, ridere di nascosto, sbuffare dietro la mano e lamentarsi l’uno dell’altro col maestro. Quando un allievo che ha studiato dal sagrestano o nella scuola del distretto si presenta con una lagnanza del genere, gli viene detto: — Perché anche tu non dai i pizzichi? — Le due classi inferiori sono sistemate in una sola stanza, la classe superiore entra invece nell’altra. Quando il maestro entra anche nella prima classe, tutti gli si fanno intorno, vicino alla lavagna, o si sdraiano sulle panche, o si siedono sul tavolo circondando il maestro o qualcuno che sta leggendo. Poiché si tratta di lettura, gli allievi si mettono seduti con maggiore tranquillità, ma si alzano in continuazione, per guardarsi reciprocamente i quaderni, e mostrano i propri al maestro. In base all’orario prima di pranzo sono fissate quattro lezioni, ma talvolta vi entrano invece tre o due materie, talvolta materie assolutamente diverse. Il maestro può iniziare con l’aritmetica e passare alla geometria, può cominciare con la storia sacra e finire con la grammatica. Talvolta il maestro e gli allievi si appassionano, e invece di un’ora la lezione dura tre ore. Succede che gli stessi allievi gridino: — No, ancora, ancora! — e sgridino quelli ai quali la lezione è venuta a noia. — Ti sei annoiato, quindi vai dai piccoli — dicono con disprezzo. 

(L. Tolstoj, Quale scuola?, cit., pp. 154-156.)

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