La filosofia dell’educazione è una delle fonti della scienza dell’educazione. Il suo compito non è quello di determinare dall’alto i fini dell’educazione, ma di aiutare a rendere più consapevole e libera dalla tradizione la loro prassi. 

Si dice talvolta che la filosofia miri a determinare i fini dell’educazione mentre la scienza dell’educazione stabilisce i mezzi che devono essere usati. Essendo un filosofo piuttosto che uno scienziato potrei essere portato ad accogliere favorevolmente una affermazione che conferisse alla filosofia una posizione di tanto prestigio. Senza una larga dose di chiarimento interpretativo però tale affermazione può generare probabilmente concezioni più errate che vere. Questa interpretazione contiene due importanti considerazioni. 
In primo luogo, il principio esposto fa sorgere facilmente, anche se dal punto di vista logico non lo implica, un malinteso circa la relazione tra la filosofia dell’educazione e la pratica dell’educazione nonché la esperienza diretta di lavoro. In sostanza è questa attività pratica che determina i fini educativi. L’esperienza concreta dell’educazione è la fonte primaria di ogni indagine e di ogni riflessione perché pone i problemi, e collauda, modifica, conferma o smentisce le conclusioni della ricerca intellettuale. La filosofia dell’educazione non crea né stabilisce i fini; occupa un posto intermedio e istrumentale o regolativo. I fini effettivamente raggiunti, le conseguenze che realmente ne derivano, sono posti in risalto ed i rispettivi meriti valutati alla luce di uno schema generale di valori. Ma se una filosofia comincia a teorizzare le sue conclusioni, senza riguardo costante e definito alle esperienze concrete che definiscono il problema per il pensiero, essa diventa speculativa al punto di giustificarne il disprezzo. Per quanto riguarda i fini ed i valori, il materiale empirico che è necessario per impedire alla filosofia di essere fantastica nel contenuto e dogmatica nella forma, è offerto dai fini e dai valori che vengon prodotti nei processi dell’educazione durante il loro effettivo svolgimento. Il contributo che la filosofia dell’educazione può apportare è l’ampiezza d’orizzonte, la libertà e l’invenzione costruttiva o creativa. Colui che opera in un settore specifico è portato a preoccuparsi delle necessità e dei risultati più immediati, ma allorché comincia ad estendere il raggio d’azione, la portata del proprio pensiero, a meditare sulle conseguenze oscure collaterali, quando queste si rendono palesi per una maggior estensione di tempo, o si riferiscono a uno sviluppo duraturo, allora comincia a far della filosofia, si voglia o no dare un tal nome al processo. Ciò che si chiama filosofia è soltanto una esplicazione più sistematica e persistente di questa funzione. 
Quello che ho chiamato il contributo di “libertà”, di liberazione, è un fattore che necessariamente accompagna una così ampia rassegna dei fini e delle conseguenze pratiche. In qualsiasi campo, dalla fabbrica alla chiesa e alla scuola, l’uomo pratico di professione corre il pericolo di rimanere chiuso nell’angusto campo delle sue occupazioni e di divenire schiavo delle abitudini, controbilanciando questo rigido schematismo con evasioni impulsive, intraprese secondo il temperamento e l’occasione, quando la monotonia del lavoro diviene intollerabile. Non dico che i filosofi vedano la vita in una luce di stabilità e nell’intero aspetto; in questo senso il completo successo è umanamente impossibile. Ma ognuno è filosofo nella misura in cui riesce a compiere uno sforzo di qualche entità verso questa direzione. Il risultato è l’emancipazione. Quando questa liberazione si limita solo alla mente, alla coscienza interiore, di ognuno, provoca una intensa soddisfazione, ma è priva d’efficacia ed il suo valore è solo apparente. La sua efficacia sta soltanto nella sua funzione attiva. Per la filosofia dell’educazione questa funzione attiva consiste nel rendere l’uomo pratico capace di condurre il proprio lavoro con uno spirito più liberale, evadendo dalla tradizione, dalla monotonia e dall’unilateralità dei capricci e degli interessi personali. 

J. Dewey, Le fonti di una scienza dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1951, pp. 39-41.